
Psicologia dei post virali: perché certi contenuti esplodono
Ascolta la versione audio!
Nel mondo del digital marketing, non è raro imbattersi in contenuti tecnicamente impeccabili che, però, non riescono a emergere. Al contrario, post dall’apparenza semplice riescono a ottenere migliaia di condivisioni, commenti e salvataggi. La differenza raramente sta solo nella creatività o nel copy: il vero motore invisibile è la psicologia umana. Più precisamente, i bias cognitivi.
Parliamo di meccanismi mentali automatici, attivati da emozioni, esperienze pregresse e contesto. Scorciatoie decisionali che il nostro cervello usa per processare in fretta gli stimoli, decidere cosa vale la pena leggere, commentare, salvare, condividere. Comprendere e utilizzare in modo consapevole questi bias non significa manipolare. Al contrario, significa comunicare meglio, con più empatia, precisione e responsabilità.
Nel 2025, in un ecosistema dominato da flussi rapidi, AI generativa e contenuti conversazionali, non è più sufficiente “essere presenti”. È necessario essere rilevanti.
E per esserlo, bisogna saper parlare alle strutture più profonde della mente umana.
I bias cognitivi sono i veri algoritmi umani
Come spiega Daniel Kahneman – psicologo e premio Nobel per l’economia – il nostro cervello opera su due livelli: uno veloce, intuitivo, reattivo (Sistema 1), e uno più lento, analitico e razionale (Sistema 2). È il primo a decidere cosa cattura la nostra attenzione nei feed social.
I bias cognitivi vivono nel cosìdetto "Sistema 1". Sono attivati prima ancora che possiamo razionalizzare. Alcuni contenuti colpiscono perché si allineano perfettamente a questi automatismi. È ciò che li rende virali.
Nei social media, dove la comunicazione si gioca sul filo dell’istante, questi bias rappresentano leve psicologiche fondamentali. Saperle riconoscere, selezionare e attivare con coerenza è oggi una competenza cruciale per ogni strategist, content creator e brand manager.
Ma va fatto in modo responsabile: la viralità non deve mai diventare manipolazione.
Nel marketing digitale, comprendere e sfruttare i bias cognitivi può fare la differenza tra una campagna fallimentare e una di grande successo. I social media, con la loro capacità di amplificare le emozioni e le reazioni, rendono ancora più evidente l'importanza di conoscere questi meccanismi psicologici per utilizzarli in modo responsabile anche con i brand.
I 4 bias che rendono virale un contenuto
Negativity bias: la forza emotiva delle emozioni negative
Il negativity bias è uno dei più forti. Il nostro cervello dà maggiore attenzione e memoria a ciò che percepisce come minaccia o pericolo. Questo spiega perché contenuti che denunciano, criticano, smascherano, o che toccano temi sociali forti abbiano spesso performance superiori.
Lo conferma uno studio pubblicato su Nature Human Behaviour (2024), che analizza oltre 700.000 post virali: i contenuti negativi ottengono il 26% in più di condivisioni rispetto a quelli neutri o positivi, se associati a una narrativa riconoscibile.
Un caso esemplare è stato il movimento #BlackLivesMatter di qualche anno fa.
I contenuti che esprimevano rabbia verso l’ingiustizia sociale hanno generato livelli di coinvolgimento altissimi. Ma la chiave non era solo la rabbia: era la combinazione di denuncia, alla quale si aggiunge una prospettiva di cambiamento.
Attivare questo bias in modo etico significa evidenziare problemi reali, ma orientare lo sguardo verso la trasformazione, non verso la rassegnazione o il panico.
FOMO: la paura di essere esclusi
Il Fear of Missing Out, o anche detto più comunemente FOMO, è il timore di perdere un’opportunità irripetibile. È un bias profondamente emotivo, legato all’ansia sociale e al desiderio di appartenenza.
Frasi come “solo per oggi”, “iscrizioni aperte fino a mezzanotte”, “accesso riservato” attivano immediatamente questo meccanismo. Secondo una ricerca HubSpot del 2025+, le campagne che utilizzano countdown, early access o esclusività temporanea registrano CTR superiori del 19% rispetto a campagne statiche.
Il punto non è “spingere all’azione per forza”, ma stimolare attenzione attraverso il valore del tempo, che oggi è una delle risorse più contese nella battaglia per la visibilità.
Narrative of Change: il potere delle trasformazioni
Le persone sono attratte dalle storie di cambiamento. Non parliamo solo dei classici “prima e dopo” visivi, ma della narrazione del passaggio da uno stato iniziale problematico a una condizione migliorata.
Pierre Herubel ha dimostrato, nei suoi casi studio, che i contenuti costruiti su uno schema trasformativo ben articolato portano engagement fino al 40% superiore rispetto ai post informativi lineari.
La ragione è semplice: queste storie rispecchiano la nostra tensione al miglioramento. Vogliamo vedere che il cambiamento è possibile. E vogliamo identificarci nel percorso.
Quando un brand racconta il cambiamento che genera – nel cliente, nella società o nel mercato – attiva emozioni, empatia e fiducia.
Il nemico da sconfiggere: strawman e arch enemy
Creare un nemico comune – reale o simbolico – è una delle strategie più potenti nella costruzione di community. Che si tratti di un mindset obsoleto, un comportamento da superare o un modello inadeguato, "l'archetipo nemico” permette di costruire un “noi” contrapposto a un “loro”.
La campagna Apple “Get a Mac” contrapponeva il PC – lento, impersonale – al Mac: intuitivo, dinamico, creativo. Nike ha usato lo stesso principio contro il dubbio e l’autosabotaggio:
“Just Do It” è un manifesto di sfida a sé stessi.
Ma attenzione: semplificare il mondo in bianco e nero può funzionare, ma richiede responsabilità. Il nemico non va demonizzato. Va rappresentato come un ostacolo collettivo che si può superare insieme. Solo così si costruisce un’identità senza polarizzazione distruttiva. Ne abbiamo parlato in questo articolo della nostra "La Rubrica dell'esperto"
Come costruire contenuti virali ed etici in 3 step
- Comprendi il tuo pubblico
Senza conoscenza profonda del target, ogni tentativo di attivazione sarà debole. Serve analisi qualitativa, studio dei linguaggi, osservazione dei comportamenti e ascolto attivo. I bias sono universali, ma funzionano solo se parlano a trigger autentici e rilevanti per il tuo pubblico - Allinea il bias ai valori del brand
Ogni bias è uno strumento. Ma come ogni strumento, può essere usato bene o male. Scegliere quale bias attivare significa anche decidere quali emozioni generare. Se il tuo brand promuove innovazione e fiducia, la narrativa del nemico dovrà essere costruttiva, non bellicosa. Se il tuo posizionamento è basato su esclusività e status, il FOMO può diventare leva coerente. La coerenza valoriale è ciò che trasforma una tattica in una strategia. - Attiva e guida: la CTA è parte della narrazione
Un contenuto virale che si ferma alla visibilità è una occasione persa. L’obiettivo non è solo far parlare di sé, ma guidare il pubblico verso un’azione significativa. Una Call to Action ben posizionata - che sia un approfondimento, un’interazione o un contenuto correlato – e un copy profondo possono trasformare una reazione emotiva in una relazione stabile. Il tutto per fare la differenza ed essere la bussola strategica per ogni contenuto marketing
Esempi operativi e template
Jake Ward ha evidenziato l'efficacia di vari template per post virali su LinkedIn, come:
- la checklist,
- il post dissonante o problema-soluzione inversa,
- l'opinione forte.
Questi template sono particolarmente utili per creare contenuti che attivano i bias cognitivi in modo strutturato.
Pierre Herubel, invece, mostra come si possano combinare bias cognitivi e costruzione narrativa per creare contenuti potenti. Ad esempio, un post che utilizza la Narrative of Change per raccontare una storia di successo personale o aziendale può ottenere un alto livello di engagement.
Un esempio pratico potrebbe essere un post di Webeing che utilizza il template del post dissonante / polarizzante, anche detto "Post Stop" per evidenziare un errore comune nel marketing e offrire una soluzione innovativa.
Quando la viralità danneggia il brand
L'uso scorretto dei bias cognitivi può portare a effetti collaterali negativi:
-
contenuti eccessivamente emotivi possono portare al clickbait
-
l’uso sproporzionato del FOMO può creare ansia o sfiducia
-
la negatività non orientata può allontanare invece che unire
La viralità non è sempre un vantaggio se non produce valore percepito e relazionale. Il rischio è rompere il patto di fiducia con il pubblico. È importante evitare di utilizzare questi bias in modo manipolativo e mantenere sempre l'integrità narrativa.
Quando non usare certi bias? Evita di sfruttare la negatività o il FOMO in modo eccessivo, poiché possono generare sfiducia e alienazione nel pubblico. Mantieni la coerenza tra il brand e il messaggio per costruire una relazione autentica e duratura con il pubblico.
La vera forza non è farsi notare, ma farsi ricordare con valore. I bias cognitivi non sono trucchi, ma leve di attenzione da usare con responsabilità. Parlano alla nostra parte più autentica, e proprio per questo vanno maneggiati con cura, responsabilità e visione. Utilizzali per creare contenuti che non solo catturano l'attenzione, ma trasformano e ispirano intere community del tuo brand.
Nel 2025, il contenuto che funziona è quello che connette, attiva e trasforma,
ed è lì che si costruisce la reputazione di un brand che lascia traccia.
Resta connesso alla tua bussola digitale!
Approfondimenti, visioni e strategie per il tuo marketing ogni mese, direttamente da Webeing.
Iscriviti alla nostra newsletter!
Registrati per avere tutti gli aggiornamenti e le novità sul Digital Marketing: ci vorrà meno di un minuto.
Iscriviti alla nostra newsletter!
Traccia la giusta direzione verso il prossimo orizzonte:
ottieni risorse e approfondimenti, conosci in anticipo le novità in arrivo!